Più volte ho ripensato all’inizio di questa emergenza sanitaria cosa era giusto che facessi, io medico nel bel mezzo dello scoppio di una pandemia…Sentivo i racconti delle colleghe in corsia e l’urgenza di personale; ricevevo telefonate dai pazienti che peggioravano e dai loro familiari timorosi di perdere l’assistenza o di potersi avvalere del solo consulto telefonico.
Qualche giorno fa ho conosciuto una signora anziana con 3 figlie angosciate all’idea di seguire la mamma a casa, di affrontarne l’allettamento e di vederla morire nel suo letto. Mi fanno capire che da tempo hanno deciso che sarebbe arrivato il momento di trasferirla in Hospice. Consegno loro i recapiti per contattare le strutture dedicate più vicine. Tornando da loro dopo pochi giorni: “Quando ci hanno spiegato che noi familiari non possiamo restare con lei e che portandola non l’avremmo più rivista …. non ce la siamo più sentita …”.
Così mi è parso chiaro che la cosa più giusta è stare al mio posto, portare avanti l’assistenza domiciliare ai malati oncologici che in questo momento forse più di prima non hanno altro posto che la propria casa. Così si allenta la tensione quando mi copro di DPI per entrare in una nuova casa dove ogni movimento potrebbe essere un rischio. E per questi DPI (così necessari e così preziosi) ringrazio la mia Fondazione perchè grazie alla raccolta fondi non ci sono mai mancati ed ogni giorno consentono a noi operatori di lavorare in sicurezza divisi tra il bisogno di portare le cure e la preoccupazione per sè e i propri familiari.