Periferia di Bologna. Esterno giorno. Pioggia a dirotto. Un indice sbuca dalla manica di un impermeabile e preme un campanello. “Sì? Chi è?”, si sforza di non biascicare una voce anziana e impastata. “Buon appetito eh”, scandisce il visitatore a un palmo dal citofono.
“Sali caro. Ti aspettavo”. In cima a due rampe di scale, al primo piano di uno stabile anonimo, si apre un appartamentino come tanti. Ingresso, cucinotto, camera da letto e un piccolo tinello. Proprio qui, sul bordo di un divanetto su cui incombe un’asta portaflebo, sta il sorriso affaticato di G. Che si fa subito più raggiante quando il volontario ANT (questa l’identità del misterioso ospite zuppo d’acqua) inizia a scartare il pranzo preparato poche ore prima da Camst Group e a imbandirlo su un tavolino pieghevole.
Rinnovando, così, una pratica che negli ultimi due anni ha visto i nostri 12 prodi alfieri del programma di consegna pasti a domicilio recapitare più di 5.100 pranzi e cene a oltre una dozzina di malati. Che vivono soli, come nel caso dell’uomo gentile che ci ha aperto la porta in questa mattina di pioggia, o hanno figli minori a carico. Perché il concetto di cura che ANT ha sposato va ben oltre l’assistenza medica. E se un piatto di pasta non sarà garanzia di guarigione, mangiarlo con le stoviglie di casa, seduti al proprio tavolo, è una piccola benedizione.
Soprattutto per chi ha trascorso gli ultimi mesi in una stanza d’ospedale. Grazie per il loro quotidiano impegno ai volontari Vincenzo, Paolo, Giancarlo, Piero, Stefano e Gabriele. E per l’impegno saltuario, ma non meno prezioso, grazie a Enrico, Omer, Mario, Mario, Vittorio e Enzo.