Quindici anni non sono pochi. Sono il tempo che un neonato impiega per diventare adolescente. E ad abbandonare l’infanzia, fra il 15 marzo del 2010 e la stessa data del 2025, è stata la famosa Legge 38, che ebbe il merito di sancire per la prima volta nella storia della Sanità italiana “il diritto del cittadino ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore”.
Inutile dire che si trattò di un enorme passo avanti, non solo per chi, come ANT, già da decenni si occupava di assistenza oncologica nelle fasi più avanzate di una neoplasia, ma lo fu soprattutto per le persone malate e per chi soffriva al loro fianco.
E il balzo in avanti, al culmine di un processo iniziato nel 1999 che aveva visto l’avvio di un abbozzo di programma nazionale per le CP e la nascita dei primi hospice, non fu solo di natura clinica, ma anche di natura filosofica. Perché la Legge 38 mise nero su bianco il fatto che soffrire non è inevitabile e che la sofferenza si può e si deve affrontare e contrastare con la scienza, in ogni fase della malattia e in ogni setting assistenziale, particolarmente in quello domiciliare.
Insomma, la Legge 38 pose all’attenzione di tutti il dovere di tutelare la dignità del malato, semplificando l’accesso a modelli di assistenza innovativi e a farmaci prima privilegio di pochi. Oltre a sensibilizzare sul tema, fatto non secondario, tutti coloro che malati non erano e non sono e a fornire un modello giuridico solido ai legislatori internazionali, se è vero che Onu e Oms proprio dalla legislazione italiana trassero linfa per le loro definizioni (e azioni) in tema di Cure Palliative.
Oggi, però, a tre lustri da quella che si configurò come una piccola grande rivoluzione, molto resta ancora da fare, a partire dal lavoro per rendere realmente universale quel diritto di accesso alle CP e alla terapia del dolore che la Legge 38 sancisce al primo punto del suo primo articolo.
Del resto, nella Legge di bilancio del 2023 si vincolavano le Regioni a “presentare entro il 30 gennaio di ogni anno un piano di potenziamento delle cure palliative al fine di raggiungere entro il 2028 il 90% della relativa popolazione”. Piani, questi, che, quando presentati, non hanno fatto altro che sancire l’insufficienza degli sforzi fatti, confermata da un tasso di accesso alle CP che nel 2023 ha raggiunto una quota 36% (media nazionale, su quasi 2 milioni di pazienti affetti da dolore cronico) e da un tasso di morti ospedaliere che continua ad assestarsi oltre quota 50% dei pazienti affetti da patologie che darebbero diritto alla palliazione.
Fondazione ANT risponde con le sue 10mila assistenze domiciliari all’anno, ma noi e le altre realtà del Terzo Settore come la nostra, nonostante l’impegno, non possiamo fare tutto da soli. Per fare la differenza anche oltre i nostri limiti, infatti, abbiamo bisogno di rafforzare il legame e la collaborazione fra privato sociale e Sistema Sanitario Nazionale. In particolare se a mancare, come ha raccontato la presidente di Fcp Stefania Bastianello nel corso degli ultimi Stati generali delle cure palliative in Italia (organizzati da Fcp assieme a Sicp), è quella “campagna nazionale istituzionale per la sensibilizzazione sulle cure palliative, pure già prevista dalla stessa Legge 38”. Volta “ad accrescere la consapevolezza della necessità e dell’affidabilità delle CP contro il pregiudizio e in favore dalla conoscenza”.
Questo mentre si dovrà continuare, come ammonisce il presidente di Sicp Gianpaolo Fortini, a “potenziare le reti di cure palliative raggiungendo una maggiore uniformità a livello regionale”, a lavorare per risolvere “l’attuale disparità di accesso per i malati non oncologici”, a procedere ad una “maggior formazione per i medici di base e per tutti gli altri specialisti” e a varare “nuove misure di investimento al fine di rendere sostenibile il sistema delle cure palliative”.