Alla luce della mia partecipazione, questa mattina, al seminario di Unimore e Fondazione ‘Marco Biagi’ dal titolo ‘Terzo settore e capitale umano, quale contributo dalla formazione universitaria?’, sento di voler chiarire anche in questa sede i caratteri nevralgici delle collaborazioni passate, presenti e future fra ANT e il mondo accademico largamente inteso.
Innanzitutto, per il terzo settore che opera in ambito socio-sanitario, è cruciale un contatto diretto e continuativo con gli atenei, per garantire percorsi di formazione e aggiornamento scientifico afferenti all’ambito specifico nel quale opera l’organizzazione. Questo è indispensabile per chi, come ANT, eroga assistenza direttamente, rendendo necessario che i professionisti sanitari possiedano (e aggiornino) le conoscenze e le competenze adeguate.
Un ulteriore valore aggiunto dei percorsi formativi, poi, consiste nella loro biunivocità, secondo un modello di formazione circolare dove anche il terzo settore può contribuire con la propria expertise alla crescita professionale dei futuri operatori sanitari. Come testimonia, nel caso di ANT, l’alto numero di studenti universitari (dell’Università di Bologna ma anche di altri atenei) che ogni anno sceglie ANT per il proprio tirocinio: medici, infermieri, psicologi ma anche studenti di economia e ingegneria. Dandosi la possibilità, da un lato, di apprendere competenze tecniche specifiche in tema di cure palliative e, dall’altro, acquisendo familiarità con i valori di solidarietà e di inclusione che animano la nostra missione.
In terzo luogo, il terzo settore riveste anche un ruolo centrale (in generale, non solo nella sua accezione socio-sanitaria) come ponte tra istituzioni e cittadini, in particolare modo per coloro che si trovano in una condizione di fragilità, dovuta ad esempio ad una malattia. In questo senso, il terzo settore ha bisogno di essere formato per poi contribuire attivamente allo sviluppo di comunità che oltre ad essere eque, inclusive ed innovative, siano anche “comunità che curano”. Questo concetto, mutuato dal contesto anglosassone dove già da anni si parla di compassionate community, esprime la necessità di creare una triangolazione virtuosa tra persone che si trovano in uno stato di difficoltà, rete locale di cura e cittadini.
E, a questo fine, gli ETS devono quindi possedere le risorse e le competenze tecniche, comunicative e di management necessarie per attivare e facilitare percorsi integrati di co-progettazione tra decisori politici, istituzioni e società civile. Spesso infatti sono proprio gli ETS e le associazioni di volontariato a farsi promotori di quelle azioni di community engagement e community empowerment che stanno alla base di una società in grado di prendersi cura di se stessa.