“Leggo dalle cronache del Meeting di Rimini e dalla stampa generalista di un Terzo Settore che tenta di cambiare volto guardando al futuro e, stando ai suggerimenti del sempre attento professor Zamagni, di cambiare anche nome. Ebbene, non posso che trovarmi d’accordo con il presidente della Pontificia Accademia delle Scienze, che peraltro conosco personalmente da molti anni e stimo profondamente, quando insiste sulla necessità di mutarne la definizione in quella di Settore Civile. Anche perché chiamare ‘terzo’ il grande e vivace ecosistema di persone e idee in cui lavoriamo pare una definizione concepita in negativo, per difetto. Quasi a sottolineare solo ciò che il nostro mondo non è: né pubblico, né privato.
E condivido anche il pensiero di chi, come lo stimato economista Leonardo Becchetti, è andato addirittura oltre il proposito di Zamagni, sottolineando come l’intera nostra economia, non solo il comparto del privato sociale, dovrebbe dirsi ‘civile’ e comportarsi secondo i dettami della ‘civiltà’. A livello tanto globale quanto locale.
Certo, a livello globale chiamare in causa il concetto di ‘civiltà’ può diventare fonte di incomprensioni, poiché il contenuto reale di valori che a parole sono largamente condivisi (la democrazia, l’inclusione, l’emancipazione femminile, la pace o la promozione di un equo accesso a cure sanitarie, alimentazione adeguata e istruzione per tutti gli esseri umani) risulta poi, nei fatti, non solo differente da contesto a contesto, ma anche strumentalizzabile da governi e governanti
In ambito nazionale e comunitario, invece, l’altro scoglio da superare attiene al fatto che il Settore Civile tratteggiato da Zamagni risulta molto eterogeneo, spaziando dalle giovani associazioni di volontari alle grandi e radicate ‘aziende di solidarietà’. Per questo speriamo che presto, dopo una ulteriore revisione condivisa soprattutto sui temi fiscali contenuti nel testo, chi ci governa dia seguito ai decreti attuativi di una legislazione sul Terzo Settore (così ancora lo chiamavamo all’atto della stesura) che fluttua nel suo limbo dal lontano 2017. E che, se tradotta in essere, potrebbe essere garanzia di uniformità di vedute e di azioni fra attori diversi e, ancora più importante, del riconoscimento di una maggiore dignità in sede di raccolta fondi.
Per andare finalmente oltre l’antiquato concetto di assistenzialismo, per innalzare la considerazione (ad oggi scarsa, purtroppo) che il mondo del lavoro ha delle persone che operano nel sociale e per smettere di pensare in termini di ‘stampelle’ pubbliche (o private) al Settore Civile (e viceversa). Anzi, i concetti chiave quando si parla dei tre settori devono essere quelli di interdisciplinarietà e interdipendenza, con l’obiettivo comune di moltiplicare le risorse a beneficio della società tutta”.
P.S.
“Assieme alla definizione di Terzo Settore, perché non mandare in soffitta anche quella di Non-Profit? Visto che il profitto c’è e c’è sempre stato: è un profitto etico, sociale e civile, prima che economico”.
Leggi l’articolo di vita: https://www.vita.it/becchetti-da-terzo-settore-a-settore-civile-passo-giusto-ma-non-basta/