Col mio lavoro di palliativista sono, ovviamente, sempre a contatto con la sofferenza e la morte. Ci sono persone che preferiscono non sapere e altre che vogliono tutte le informazioni. Tutta la verità, nient’altro che la verità.

Spesso, in quelle occasioni, i familiari mi chiedono di non dire ai diretti interessati che stanno morendo per non buttare giù, psicologicamente, i sofferenti. È sempre molto difficile fare la cosa giusta.

Ma cosa significa “supporto psicologico”?

Se la signora Maria mi chiede “Dottore, sto morendo?”, quale effetto psicologico può avere la negazione?

“Ma no, che dice? Vedrà che con questa mezza pillola andrà meglio. Comunque facciamo gli esami e vediamo!”

Ecco, io credo che le persone che ti chiedono “sto per morire?” abbiano bisogno di risposte oneste.

Primo, perché negare significa scatenare una rabbia interiore che devasta la persona come e più del cancro. E secondo, perché spesso è solo con la consapevolezza completa che si possono “mettere a posto le cose”.

Mettere a posto le cose non significa solo spostare i soldi sul conto del marito o del figlio.

Significa consentire a due fratelli di riappacificarsi oppure di mandare a quel paese il vicino che, da anni, lascia la spazzatura sul pianerottolo.

Significa trovare la forza e il momento di dire a qualcuno “ti voglio bene” anche se per anni non ci si è parlati.

Ho raggiunto la consapevolezza che negare la realtà a chi la chiede è come negare la fiala di morfina a chi si contorce dal dolore. “Dottore, ma io non ce la faccio a dire a mia figlia la verità”.

Non è facile.

La parte più difficile, con mia madre, era arrivare alla porta di casa, fare un gran respiro, mettere su un sorriso che non avrei voluto fare ed entrare in casa cercando di parlare di cose frivole: “Mamma, oggi le albicocche erano a 4 euro al chilo! Una follia!”.

Ho imparato a dire la verità prima con mia madre e poi con mia nonna Alba.

In particolare, ricordo la mia nonnina di 92 anni dirmi: “A., sto morendo”.
Non c’era punto di domanda, alla fine.

“Sì nonna, stai morendo. Stai andando da nonno”.

Mi rispose: “Sono contenta che tu non mi abbia voluto dire una bugia”.

Da allora, dispenso la verità.

È la parte più dura ma che sento più necessaria del mio lavoro.

Ho capito che in questo modo non sottraggo tempo a chi lo dico.

Glielo dono.

Tempo prezioso.

Sapere, significa fare i conti con se stessi.

Significa poter chiedere scusa o dire ti amo.

Dire la verità è la parte più difficile del mio lavoro ma è quella che amo di più.