Una ricerca di Fondazione ANT sui propri dati porta a galla le criticità
Nel Mezzogiorno pazienti più giovani e più gravi

‘End-of-life care for patients with cancer: clinical, geographical, and sociocultural differences’. O, in italiano, ‘Trattamenti di fine vita per pazienti oncologici: differenze cliniche, geografiche e socioculturali’. Si intitola così l’articolo scientifico che, firmato da Rita Ostan, Silvia Varani, Francesco Pannuti, Raffaella Pannuti (presidente di Fondazione ANT), Guido Biasco ed Eduardo Bruera e appena pubblicato sulla rivista Palliative & Supportive Care (Cambridge University Press), prova una volta di più l’esistenza in Italia di uno scenario a due facce. Quello, ricostruito dall’indagine attraverso i dati delle attività assistenziali di ANT, che ci parla di molte differenze fra le aree centro-settentrionale e centro-meridionale del Paese, in termini di qualità delle prestazioni erogate, nell’ambito delle Cure Palliative (CP) per pazienti oncologici terminali.

Ebbene, sullo sfondo di una branca del mondo assistenziale alla quale in Italia, loro malgrado, si accostano quasi 500mila pazienti ogni anno, la ricerca condotta su 1.721 pazienti oncologici (919 residenti nel Centro-Nord e 802 nel Centro-Sud) entrati in un programma di cure palliative domiciliari ANT nell’anno 2020 e deceduti entro il 31 agosto 2021 racconta di diverse criticità. Parte delle quali derivanti da un’effettiva copertura dei bisogni nazionali che arriva a stento al 19% degli aventi diritto.

Dando conto, poi, di “rilevanti disomogeneità interregionali, soprattutto per quanto riguarda l’assistenza domiciliare” che iniziano dall’età e dalla gravità del degente nel momento dell’ingresso nel sistema delle CP. I pazienti del Centro-Sud, infatti, risultano allo stesso tempo mediamente “più giovani” e “in uno stadio più avanzato della malattia rispetto al Centro-Nord”. Perché gravati, già alla presa in carico da parte di ANT, da una maggiore frequenza di “sintomi quali astenia, nausea, cachessia, ansia, dispnea, delirium e alterazioni dell’alvo”. Senza contare che “la sopravvivenza dei pazienti assistiti dalla Fondazione al Centro-Sud, a decorrere dal momento della presa in carico, è più breve rispetto al Centro-Nord”.

Questo a livello generale, mentre nel dettaglio l’analisi di associazione tra dati demografici, indice dell’avanzamento patologico, dei sintomi e delle terapie all’ingresso e il numero di prestazioni cliniche fornite durante l’ultimo mese di vita evidenzia diversi altri problemi. Sono proprio i pazienti più giovani, mediamente più numerosi in un’area centro-meridionale del Paese dove prendersene cura è più complicato, che, del resto, “sembrano necessitare di un’assistenza più intensa e complessa in fine vita”. Tendendo a “manifestare un livello maggiore di sofferenza e di distress negli stadi avanzati di malattia” e rappresentando per giunta “un carico emotivamente più pesante sia per la famiglia che per gli operatori sanitari”. Senza contare (occorre puntualizzarlo senza falsi pudori, per amore di verità) che anche i costi economici di decorsi oncologici lunghi e tempestosi risultano molto alti per ANT e per quel SSN che finanzia in convenzione alcuni degli sforzi assistenziali a domicilio profusi da quest’ultima.