Ho letto qualche giorno fa del possibile (per qualcuno addirittura imminente) commissariamento della Sanità in Regione per un disavanzo di diverse decine di milioni di euro. E, benché i termini della questione siano ancora da chiarire nei dettagli, il solo fatto che in un territorio caratterizzato da amministrazioni in larga misura virtuose, ampie disponibilità di risorse e alti livelli di responsabilità sociale si profilino all’orizzonte voci di tal genere mi ha fatto immediatamente drizzare le antenne. Soprattutto perché richiama la nostra attenzione su un tema, quello dell’ormai cronica carenza di risorse economiche e umane in Sanità, che mal si concilia, per usare un eufemismo, con le necessità di affinamento e moltiplicazione degli strumenti di assistenza rese palesi dal progressivo invecchiamento e impoverimento dei Paesi industrialmente sviluppati.

Sicuramente, al di là di una presente criticità emiliano-romagnola che speriamo possa risolversi in maniera positiva e al di là della lampante evidenza di come la ‘nostra’ Sanità regionale sia stata e sia ancora più efficiente della media nazionale, quello delle risorse, sia economiche che umane, è un tema centrale per la programmazione dei prossimi anni. Lo leggiamo anche oggi su Dataroom, la rubrica del Corriere a cura di Milena Gabanelli: la Sanità pesa all’incirca per l’80% sui bilanci di ognuna delle Regioni italiane e in generale, particolarmente a causa dell’aggravio delle spese legato al Covid, il confronto tra il 2022 e il 2019 mostra come la maggioranza delle amministrazioni che avevano conti in ordine ora fatichi a tenere dritta la barra. E non poco.

A partire, lo abbiamo detto, dal rosso di 84,9 milioni dell’Emilia-Romagna (e da quello di 125,5 milioni del Lazio, regione meno virtuosa in assoluto), ma nemmeno il -69,5 dell’Umbria, il -41,7 della Sardegna e i disavanzi di Piemonte e Basilicata (rispettivamente -21 e -20,9) possono farci stare sereni. E, se questo è il quadro di chi nel pre-Covid viaggiava in positivo, c’è anche chi, come Toscana, Abruzzo e Puglia, ha visto peggiorare un bilancio già negativo, mentre la chimera del pareggio viene raggiunta praticamente solo da Lombardia (appena 296 mila sopra la soglia dello zero il +6,3 milioni del 2019) e Veneto (+7 milioni contro il +29,4 del 2019). E, certo, il miliardo abbondante di euro del cosiddetto payback, che rimborserà in parte gli acquisti di dispositivi medici fuori budget degli anni passati, servirà a dare ossigeno a un sistema provato ulteriormente anche dalla crisi energetica. Ma i miliardi di spesa in più per coprire i costi in aumento, solo nel 2021, sono stati 8,3, rimborsati alle regioni solo per poco più della metà.

Capite ora come quello delle risorse sia ‘il tema’ per eccellenza nella visione di chi, come ANT, ritiene di avere le competenze per ambire a far sentire la propria voce ai tavoli ai quali si discuteranno le riforme a medio e lungo raggio di vitale urgenza per il futuro del Ssn. Da lungo tempo, infatti, la nostra Fondazione propone un’idea di integrazione tra pubblico e privato sociale che vada prima di tutto a beneficio degli utenti. Rendendo la Sanità Pubblica più forte a livello strategico, economicamente solida e, quindi, più accessibile. Un’idea che ha avuto probabilmente la sua massima espressione negli anni recentissimi di quella stessa pandemia che ha in parte contribuito a rendere ancora più evidenti i limiti della sanità ospedaliera. Finendo, di fronte all’emergenza, per unire finalmente le forze e tentare di superare diffidenze, campanilismi e scogli burocratici. Ad esempio è stato proprio nei mesi di emergenza pandemica ormai ‘matura’, a 2021 inoltrato, che è nata la convenzione – ora interrotta – tra l’Ausl di Bologna e ANT per portare assistenza sanitaria a domicilio dei pazienti oncologici in cure supportive, cioè in fase precoce di malattia.

E questa è una delle chiavi del discorso, ossia che sarebbe bene conservare e rafforzare le esperienze di collaborazione tra attori diversi e complementari. Soprattutto quando i dati, come quelli sull’attivazione di ANT per gestire pazienti, confermano che non solo l’assistenza domiciliare è valsa ingenti risparmi al Sistema sanitario regionale, ma anche che ha contribuito ad innalzare in modo evidente la qualità della vita degli assistiti. Perché è chiaro che quando un medico, un infermiere o uno psicologo entrano in casa del paziente sono in grado di dedicargli più tempo rispetto a quanto, giocoforza, accade in corsia. E che, di conseguenza, le persone seguite in questo modo siano mediamente più serene dal punto di vista emotivo e più pronte a fidarsi di chi imparano a conoscere.

Penso, pertanto, che la prosecuzione su questo sentiero possa essere una strategia replicabile in futuro per rendere più sostenibile la spesa. Il rischio concreto è infatti, al di là del commissariamento, che le necessità di ripianamento delle perdite si portino dietro un’impennata di Irpef e Irap a scapito dei cittadini. In un momento in cui la recessione e la crisi energetica già bussano con insistenza alle loro porte.

Raffaella Pannuti – Presidente Fondazione ANT