La storia di Marco (nome di fantasia) e dell’assistenza oncologica domiciliare a lui e alla sua famiglia, nel ricordo della nostra infermiera Amgelica.

 

Marco era un ragazzo di circa quaranta anni, aveva un tumore intestinale in fase avanzata, diagnosticato già da qualche anno.

Il tumore lo aveva portato a sottoporsi a numerosi interventi chirurgici devastanti, oltre a vari cicli di chemioterapia, interrotti ad un certo punto perché non più efficaci.

Marco aveva una storia difficile alle spalle, segnata da una severa ipoacusia dalla nascita e dal Morbo di Crohn. Nonostante questo, nella sua profonda determinazione e forza di vivere ha affrontato la vita senza paura, attraverso un percorso di studi e poi lavorativo, interrotto solo con l’insorgenza della malattia oncologica.

Dopo l’ultimo ricovero a causa di una infezione, siamo stati contattati dalla madre che ci chiedeva aiuto.

Marco non riusciva più ad alimentarsi bene. I chirurghi avevano comunicato alla famiglia che non sarebbero più potuti intervenire in un corpo già provato dai tanti interventi.

È stato quindi affidato al servizio di assistenza oncologica domiciliare da parte delle équipe medica ANT in Umbria.

 

Marco ci viene presentato come un ragazzo attento, preciso, un po’ diffidente ma generoso. Dobbiamo prima di tutto cercare la sua fiducia e la sua collaborazione.

È un ragazzo fortemente debilitato ma con una grande voglia di godersi la vita. L’indicazione da parte dei medici curanti per noi è quella di gestire un catetere venoso centrale ed una nutrizione parenterale, quelle sacche bianche che vediamo passare a volte tra le corsie dell’ospedale.

Marco vive in casa con i genitori e le tre sorelle, circondato dall’amore e dalle cure della famiglia e dei tanti amici. Le pareti della sua camera sono circondate da videogiochi, una sua grande passione.

Marco è ben consapevole della sua condizione ma ciò nonostante non vuole abbandonarsi all’idea di essere completamente dipendente. Vuole conservare un po’ della sua libertà, soprattutto ora che è tornato a casa dopo quasi un mese di ricovero ospedaliero, dove la libertà di azione e movimento è ben limitata. Quindi, in accordo con le altre figure dell’équipe, concordiamo con Marco un’organizzazione e una collaborazione che coniughi al meglio le sue necessità cliniche alle sue volontà.

Sotto stretto controllo Marco viene sottoposto al trattamento nutrizionale nelle ore serali e notturne mentre ha la libertà di uscire e di essere indipendente nelle ore diurne.

È un grande regalo per lui, eh si perché le aspettative e le gratificazioni con l’evento malattia mutano drasticamente, e anche solo questo piccolo “accordo” nella routine quotidiana lo rende felice.

La mattina alle 9 andiamo da lui, interrompiamo la terapia, Marco esce, fa le sue passeggiate, fa colazione al bar, incontra gli amici, sta in famiglia, e la sera, intorno alle 17 torniamo da lui e ricomincia la terapia.

Ed è andata così per diverse settimane, settimane in cui Marco si è aperto, ha iniziato a raccontare di sé, a scherzare.

Le prime volte osserva attento tutte le procedure mediche, le ha viste ripetersi per vari anni: sa perfettamente se è necessario utilizzare una garza, un cerotto, una siringa, e in quale ordine! … Ma dopo qualche tempo la sua maggiore attenzione si è concentrata sul confronto, a raccontare di sé, di quello che prova e sente, di quello che desidera.

È simpatico Marco, ma solo nelle giornate di sole perché quelle più fredde o piovose lo rabbuiano, lo fanno sentire ancora limitato.

Le condizioni di Marco sembrano abbastanza stabili, è il periodo pasquale, lui si sente bene quindi un giorno ci chiede di poter andare al Mare.

Una delle sorelle andrà con i  bambini qualche giorno, e lui ha un gran desiderio di accompagnarli. Era abitudine per lui andare al mare tutti gli anni e non vuole proprio mancare questo appuntamento. Dopo un confronto in equipe e date tutte le raccomandazioni del caso, Marco parte, mangia pesce ed vede il mare, come desidera, probabilmente per l’ultima volta.

Qualche tempo dopo il suo rientro, riceviamo una telefonata dai genitori alle 9 di sera. Marco sta male, ha dolore, ha febbre. Io e la dottoressa lo raggiungiamo a casa e decidiamo con lui e con i genitori di andare in Pronto soccorso. Lo seguiamo in macchina e rimaniamo con loro fino alle 3 di notte, fin quando Marco non viene ricoverato.

Dopo qualche giorno Marco torna a casa, e ricominciamo la routine, mi fa sorridere ricordare quei momenti perché Marco scherzando mi diceva “Non sono bravi come te, e io lo imitavo dicendo “Chiamatela, voglio lei” e finivamo sempre con una gran risata.

Le sue condizioni però dopo quel ricovero sono peggiorate velocemente, era fortemente debilitato, ma aveva comunque tanti amici che lo venivano a trovare a casa per scambiare qualche parola o fare una partita a carte con lui. Grande giocatore Marco!

Ormai non esce quasi più di casa, ma ha ancora qualcosa da fare, un impegno in agenda a cui non può  proprio rinunciare:  il matrimonio di sua sorella più piccola a Giugno.

Ci prepariamo tutti per quel giorno, la concitazione e lo stato d’ ansia della famiglia è palpabile, Marco sta bene ma le sue condizioni sono precarie e il quadro può aggravarsi improvvisamente da un giorno all’altro.

Ci organizziamo con gli orari, tutto pronto per il gran giorno: l’abito appeso alla parete dell’armadio,la camicia bianca, la cravatta rossa. Tutto è pronto quella mattina ma Marco non si sente bene, ha dolore, è ipoteso, non ha energie. Cerchiamo di stabilizzare la situazione per quanto è possibile.

Tutti sono indaffarati e tutti circondano Marco, lui prende fiato, raccoglie tutte le energie che gli restano e chiede comunque di andare nel pomeriggio in chiesa, “Almeno qualche minuto” dice.

Vuole vedere con i suoi occhi sua sorella che realizza il suo grande sogno.

Marco è una testa dura, gli vengono spiegati tutti i rischi, tutte le complicanze, ma lui chiede, implora di andare.

E lì, in quel momento, abbiamo dimostrato forse il vero senso del nostro lavoro: ci siamo presi cura di Marco, abbiamo coordinato il lavoro anteponendo il suo desiderio ad una logica molto più facile e immediata. Un desiderio che sapevamo, tutti, essere l’ultimo che potevamo realizzare per lui.

Con un grande lavoro di collaborazione tra medici, infermieri, familiari ed amici, accompagniamo Marco in chiesa… per pochi minuti è vero, ma quei pochi minuti sono bastati a renderlo partecipe, in prima fila, a quell’evento per lui irrinunciabile.

Marco se ne è andato qualche giorno dopo.

Ricordo che le terapie erano cambiate e quindi i nostri accessi erano solo mattutini, ma 3 giorni prima di andarsene, nel pomeriggio, ho ricevuto una chiamata da sua madre. Mi chiedeva dove mi trovassi, e se avevo la possibilità di passare da loro, non perché ce ne fosse un reale bisogno, secondo lei, ma perché Marco chiedeva di vedermi: “non stava molto bene”.

Al mio arrivo Marco era seduto a letto, circondato da 4 suoi amici e giocava a carte. Stava vincendo la terza partita di seguito.

Chiaramente non aveva bisogno di me ma appena mi ha visto ha sorriso soddisfatto, ero lì, e quello a lui bastava. Tra i sorrisi degli amici, consapevoli e complici, ha disteso il braccio per farmi misurare la pressione, perfetta, mi ha mandato un bacio con la mano e mi ha salutato.

Il giorno dopo Marco era soporoso e poco risvegliabile, dopo due giorni se ne è andato circondato dall’amore di tutta la sua famiglia.

 

 

Gli obbiettivi nelle nostre assistenze cambiano di caso in caso in base alla patologia, e alla progressione della malattia. A volte abbiamo come aspettativa un programma di interventi volti alla guarigione, altre volte invece il nostro ruolo è solo quello di accompagnare i nostri assistiti in un percorso in cui quello che possiamo fare è prenderci cura del malato e della famiglia.

Agiamo sempre nella prospettiva del garantire in ogni frangente l’Eubiosia, ovvero la Qualità e la Dignità della Vita.

Entrare a casa di un malato oncologico è il momento più delicato e più significativo del percorso di assistenza.

La prima volta che entriamo in casa, ovvero il momento della prima visita, che noi definiamo “presa in carico”, avviene solitamente dopo un periodo più o meno lungo di degenza in una struttura ospedaliera o dopo un periodo di progressivo aggravamento delle condizioni cliniche.

La persona comunque si trova a casa propria, circondata e supportata dall’amore e dalle cure della famiglia, degli amici, degli animali domestici.

Entrare in casa è un po’ come invadere uno spazio personale, un luogo intimo, riservato solitamente ai più cari.

Quello che noi cerchiamo di fare è riuscire a soddisfare tutte le esigenze sanitarie della persona assistita nella propria casa, adeguandoci, per quanto possibile, ai ritmi di una vita familiare inevitabilmente stravolta dall’evento di malattia.

Entrare in casa significa per noi innanzi tutto ricevere e dare fiducia, avere il permesso di muoversi ed agire in collaborazione con il malato e i suoi familiari.

E proprio grazie alla energia delle tante persone come Marco, che purtroppo o per fortuna incontriamo nella nostra quotidianità professionale, riusciamo a trovare la forza e la profonda motivazione per continuare a svolgere con energia e serenità il nostro lavoro a fianco dei malati oncologici.

Grazie Marco!