Una Sanità sostenibile, per le persone

Dal 2010 abbiamo assistito ad un costante contenimento, quando non razionamento, della spesa sanitaria da parte dei governi che si sono succeduti nel nostro Paese, che ha coinvolto il personale, i farmaci, i dispositivi medici, gli acquisti di prestazioni da privato accreditato, ecc. Ciò ha fatto sì che il nostro SSN si trovasse di fronte all’irrompere della pandemia da Covid-19, nel febbraio 2020, con una delle spese sanitarie pro capite più basse dell’Europa occidentale e di conseguenza in una condizione di progressivo invecchiamento medio sia degli organici, sia delle infrastrutture e delle attrezzature. L’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia ha ribaltato tale logica consentendo alle aziende sanitarie, grazie anche agli stanziamenti straordinari, di dedicare ingenti risorse alla gestione del Covid e in senso più ampio alla tutela della salute, tanto che la spesa sanitaria nel 2020 è cresciuta di oltre 6 miliardi rispetto al 2019 (+5%), come riportato nel Rapporto OASI 2021 del Cergas Bocconi. Grazie a tali risorse, all’impegno instancabile dei professionisti sanitari e alla collaborazione con il mondo del non profit, che come sempre non si è tirato indietro nella gestione della crisi, l’Italia è riuscita ad affrontare la pandemia.

Una volta alleggeritasi la pressione dell’emergenza, ci troviamo ora di fronte ad uno scenario complesso dove i fondi del PNRR hanno favorito una prospettiva di crescita della spesa sanitaria, che tuttavia è vincolata dalla necessità di rispettare le scadenze amministrative imposte dai finanziamenti straordinari. Di conseguenza si rischia di mancare ancora una volta l’appuntamento ormai improrogabile con una riorganizzazione del sistema sanitario che deve essere graduale ma profonda, e che potrà realizzarsi solo rinforzando la collaborazione tra pubblico e terzo settore in modo da permetterci di affrontare efficacemente le sfide del futuro, prime tra tutte quella della cronicità e della fragilità.

La domanda di salute, si legge ancora sul Rapporto OASI 2021, crescerà significativamente, tanto che ISTAT stima che al 2040 la popolazione over 65 raggiungerà i 19 milioni, pari al 32% dei residenti totali (59,3 mln). L’aspettativa di vita italiana, pari a 83,6 anni con una possibile correzione per difetto di 1-3 anni dovuta al Covid, risulta la quarta più alta al mondo. Non si deve però confondere l’aspettativa di vita con l’aspettativa di vita sana, e questo significa fare un’urgente riflessione sui crescenti bisogni di salute di una popolazione sempre più anziana e sempre più malata. Parallelamente, si allargano visibilmente i divari interregionali, e di conseguenza le disparità tra territori come Bolzano, con un’aspettativa di vita in buona salute alla nascita di 69,1 anni e zone come la Calabria dove tale dato scende a 49,7 anni (Rapporto OASI 2021). Se poi consideriamo come circa il 23% della spesa sanitaria totale sia oggi out-of-pocket, cioè gravi direttamente sulle tasche degli ammalati e delle loro famiglie, risulta evidente come sia necessario che tutti gli stakeholder coinvolti collaborino per progettare insieme nuovi percorsi di salute, che siano in grado di intercettare i reali bisogni degli italiani.

Il fatto che il SSN da solo non sia in grado di fronteggiare questa situazione di emergenza, come di fatto si deve considerare nonostante sia in costante ma irrefrenabile progressione e non abbia le caratteristiche di dirompente immediatezza di una pandemia, è ormai evidente. Lo dimostra il fatto che a partire dal 2023 siano previste riduzioni del fondo sanitario nazionale, e di conseguenza dei livelli di finanziamento. Se davvero l’obiettivo che vogliamo perseguire è non di tagliare, bensì di migliorare la gestione delle risorse sanitarie attraverso la riorganizzazione dei servizi e l’ampliamento della digitalizzazione, allora il lavoro da fare è ancora grande. L’appello che rivolgo trasversalmente a tutte le forze politiche è quello di non distogliere ancora una volta l’attenzione dalla sanità, come invece sembra stia avvenendo una volta rientrata l’emergenza, ma di pensare insieme con il non profit a come realizzare davvero questa riorganizzazione tanto auspicata.

Tra le numerose azioni di intervento necessarie, il potenziamento delle reti territoriali risulta prioritario nella presa in carico delle cronicità e della fragilità. E qui più che in altri contesti emerge chiaramente la difficoltà del SSN, da solo, a farsi carico della crescita ma soprattutto dei cambiamenti nei bisogni espressi dai cittadini. Partiamo dal numero di medici di medicina generale (MMG): ogni anno si va progressivamente riducendo, determinando per contro un aumento del numero medio di assisiti per ogni medico che dai 1.224 del 2019 (+5,5% rispetto al dato 2013) continua ad essere in crescita, tanto che proprio in questi giorni si parla di un innalzamento del numero massimo di mutuati per MMG. I dati di prescrizione farmacologica in Italia, contenuti nel rapporto OSMED 2018, ci dicono poi che oltre il 66% degli ultrasessantacinquenni riceve la prescrizione di almeno 5 molecole nel corso di un anno e che il 22% assume almeno 10 principi attivi diversi. Diventa chiaro come la competenza e la buona volontà dei medici, entrambe fuori discussione, non possano sopperire alla carenza di risorse che invece sarebbero necessarie per la gestione della fragilità e della comorbidità.

Anche le Case della Salute/Case di Comunità, nonostante facciano parte di un progetto avviato ormai da più di un decennio, ancora faticano a strutturarsi in modo capillare sul piano nazionale, poiché presentano modelli organizzativi e tempi di attuazione disomogenei da regione a regione e necessitano di un potenziamento tecnologico che le renda davvero in grado di rispondere ai bisogni del territorio, grazie anche all’ausilio della telemedicina.

Un panorama analogo riguarda la situazione delle ADI, cioè la rete di assistenza domiciliare che ha l’obiettivo di evitare, per quanto possibile, il ricovero del paziente in ospedale o in RSA se non per il tempo strettamente necessario. Attualmente la copertura da parte delle reti ADI è pari al 28,24% del fabbisogno stimato, ed ogni utente preso in carico riceve mediamente solo 18 accessi l’anno, sempre citando i dati del Rapporto OASI 2021. Questi numeri mostrano bene l’urgenza di potenziare la rete territoriale di assistenza domiciliare, così come previsto dai fondi del PNRR, che risulta ancora a macchia di leopardo e decisamente insufficiente rispetto al fabbisogno. 

Questa esigenza risulta decisamente evidente nelle cure palliative e nella gestione del fine vita, gli ambiti di intervento nei quali opera Fondazione ANT. Insieme ad altre realtà non profit, ANT ha contribuito a reggere l’impatto della crisi sanitaria dovuta alla pandemia continuando a fare quello che fa da ormai 45 anni cioè prestare assistenza medico-infermieristica e psicologica, in sicurezza al proprio domicilio e in modo completamente gratuito per le famiglie, alle fasce più fragili della popolazione vale a dire i pazienti oncologici in fase avanzata di malattia. Ora che la fase di emergenza è stata superata, resta da affrontare una realtà ancora troppo lacunosa nella gestione del fine vita: si osserva attualmente una necessità di cure palliative stimabile tra il 70 e l’80% delle persone che ogni anno muoiono nel nostro Paese (l’1,4% della popolazione adulta totale) mentre il tasso di copertura del bisogno si attesta invece attorno al 23%, contro il 78% del Regno Unito e il 64% della Germania.

Il quadro che ne emerge mostra come il nostro Paese debba affrontare, e deve farlo con urgenza, sfide di salute importanti. Per farlo serve la volontà congiunta, da parte di tutti gli attori politici, istituzionali e sociali coinvolti, di valorizzare le risorse presenti, riconoscendo il ruolo chiave che in questo può avere il terzo settore e non dimenticando l’engagement dei cittadini, primi tra tutti i pazienti e i loro caregiver. La chiave è riuscire a creare delle reti assistenziali dove i cittadini possano trovare non soltanto l’offerta di un insieme di singole prestazioni specialistiche, ma dei veri e propri percorsi personalizzati e integrati capaci di dare risposte efficaci ai loro bisogni di salute, dalla nascita fino all’end of life. 

Raffaella Pannuti, presidente Fondazione ANT